Il motore economico del calcio ha bisogno di una riforma

Il calcio, per l’Italia, non è solo uno sport. È un fenomeno sociale, culturale ma soprattutto è un fenomeno economico di proporzioni enormi. Lo dicono i numeri di Report Calcio, una ricerca sviluppata dalla FIGC in collaborazione con PwC e AREL, che mette in luce come il pallone generi un impatto complessivo di oltre 11 miliardi e 300 milioni di euro di Prodotto Interno Lordo, attivi quasi 130 mila unità lavorative annue e produca oltre 3 miliardi di gettito fiscale.
Il calcio, insomma, non è solo passione: è anche un settore produttivo che incide profondamente sul Sistema Paese. Ma non mancano delle zone grigie. Innanzitutto, il suo peso economico è distribuito in modo diseguale: il calcio professionistico maschile, quello delle Serie A, B e C, vale da solo circa 5 miliardi, mentre il settore dilettantistico e giovanile, pur rappresentando il principale movimento sportivo italiano e soprattutto la fonte di sostentamento del primo, è costretto a fare i conti con risorse limitate e infrastrutture spesso inadeguate. Eppure è proprio questo settore a muovere oltre un milione di calciatori tesserati, più di 11 mila società, 62 mila squadre e circa 550 mila partite ufficiali all’anno. Senza contare il valore educativo, sociale e sanitario di cui beneficia l’intera collettività.
Ed è proprio per finanziare questo segmento che il calcio ha bisogno di una riforma. Ne ha parlato di recente il Ministro dello Sport Andrea Abodi che, in Commissione Cultura al Senato, ha riacceso il dibattito sulla necessità di un aggiornamento normativo che riguardi in particolar modo i rapporti tra calcio e gambling. Come si legge sul sito specializzato GiochidiSlots, infatti, il Ministro ha riflettuto su un cortocircuito del sistema calcio: gli organizzatori degli eventi sportivi non ricevono alcun ritorno economico diretto dalle scommesse che si svolgono sulle loro competizioni, nonostante queste generino ricavi miliardari per gli operatori del betting. Nella stagione 2022 2023, la raccolta delle scommesse sul calcio ha superato i 14 miliardi di euro, con un gettito fiscale di 371 milioni mentre a livello mondiale, solo la Serie A vale circa 35 miliardi di euro di scommesse. In questo contesto, diventa sempre più urgente pensare a una redistribuzione più equa di queste risorse, magari destinando una parte del gettito delle scommesse al finanziamento delle attività sportive di base, delle infrastrutture pubbliche e della lotta alla ludopatia.
Si tratterebbe di un cambiamento importante per dare di nuovo sostenibilità a lungo termine a un sistema che oggi si regge troppo spesso sul traino dei grandi club e sulle logiche del profitto, a scapito del tessuto sportivo più fragile. Il calcio italiano ha infatti bisogno di una riforma strutturale che tenga insieme le sue anime: quella economica e quella sociale, quella professionistica e quella dilettantistica, quella dell’élite e quella delle periferie. Per farlo però bisogna mettere mano al Decreto Dignità, che ha bloccato qualsiasi forma di pubblicità di betting o gambling, e pensare a un sistema di ridistribuzione del profitto. Un passo in avanti difficile, ma necessario. E non farlo significherebbe perdere l’occasione di trasformare una passione nazionale in un motore di crescita diffusa, inclusiva e più giusta.