Tonino Martino a TuttoReggina: «Tornerei a Reggio anche a piedi, che emozioni quel gol. La Reggina merita vent'anni di serie A, per il centenario...»

13.06.2013 00:00 di  Antonio Paviglianiti   vedi letture
Tonino Martino a TuttoReggina: «Tornerei a Reggio anche a piedi, che emozioni quel gol. La Reggina merita vent'anni di serie A, per il centenario...»

«Chiamo da Reggio Calabria, sai… domani è il 13 giugno» inizia così questa piacevolissima chiacchierata con Tonino Martino, centrocampista passato agli onori della cronaca per aver concretizzato il sogno di una città, di una popolazione. Il 13 giugno 1999 è il momento fatidico, Reggio Calabria deve mettere da parte quello spareggio di Pescara di dieci anni prima, la Reggina dei Martino, dei Poli, Giacchetta, Cozza e Possanzini, bomber Artico e Paolone Orlandoni. Sono loro gli eroi, sono loro che entrano nella storia con incredibile prepotenza, la sfrontatezza di una banda di ragazzotti, l’amore per una maglia e, sentendo oggi il caro Tonino, la rabbia nel vederla così bistrattata, di vedere quegli spalti vuoti, un entusiasmo scemato.

Ciao Tonino: dici 13 giugno e pensi a quella “domenica bestiale”…
«Compleanno, onomastico e serie A. Come dimenticare il 1999? Un segno che rimane indelebile, quei cuori amaranto che pulsavano, quella folla che voleva una promozione storica dopo ottant’anni. Eravamo un cane che mordeva l’osso, ci credevamo, senza alcuna paura.»

Ma quel gol di Ferrante…
«Beh, quel gol un attimino ci spiazzò. Trovammo un Torino promosso, un po’ rilassato che non aveva nulla da chiedere al campionato, questo fu un pizzico di fortuna per una promozione sudatissima che meritammo ampiamente».

Ti avessero detto due giorni prima che Martino avrebbe fatto il gol della serie A, ci avresti riso su?
«Non ero io che facevo i gol solitamente, ci avrei riso su veramente. Non ci importava chi la mettesse dentro, l’importante è che quella palla entrasse per quella gente lì, per un popolo fantastico. Poi a segnare fui io, una sensazione stupenda, a ripensarci mi vien la pelle d’oca.»

Furono giorni di euforia in città, che ricordi hai?
«Uno dei ricordi più belli della mia vita, quella gente che ci acclamava, avevamo fatto felici 180.000 persone, eravamo gli eroi di Reggio Calabria.»

Quella Reggina, formata da un mix di esperienza e gioventù, costruita in corsa con gli arrivi di ottobre decisivi, cosa aveva di speciale?
«Eravamo una famiglia, una grande famiglia, unita dal cordone ombelicale che la Reggina era un qualcosa da amare, senza dubbio. Non eravamo partiti per vincere, eravamo tante piccole scommesse tra cui Possanzini. Il più affermato era Ciccio Cozza e poi i nostri punti guida, chi la maglia ce l’ha davvero cucita addosso: Poli e Giacchetta.»

Il capitano (idealmente, ndr.) dell’epoca era Maurizio Poli. Lo sai che finalmente ha appeso le scarpette al chiodo?
«Davvero, giocava ancora? Incredibile (ride, ndr.). Una grandissima persona, una di quelle che manca alla società Reggina. Io Poli non lo avrei mai fatto andare via, non meritava quel trattamento che mister Colomba gli riservò.»

E che non risparmiò neanche Tonino Martino…
«Verissimo, giocai solo in nove occasioni quell’anno lì perché il tecnico portò gente sua fidata. Non discuto la volontà del tecnico di affidassi a gente su cui avesse più fiducia, ma non andavano trattati così personaggi che solo qualche mese prima scrissero la storia della Reggina.»

Il presidente Foti è un profondo conoscitore di calcio, per il centenario ha detto di voler allestire un organico adatto a un campionato di vertice. Tu, esperto di promozioni, cosa gli consiglieresti?
«Non bisogna spendere e spandere, bisogna saper acquistare, avere gente fidata attorno. La Reggina non è una squadra qualunque, la Reggina è la cosa più bella che c’è. Chi indossa questa maglia deve avere chiaro questo concetto, non sta indossando la maglia di un Sassuolo qualunque (per dirne una a caso, ndr.). Il presidente cosa dovrebbe fare? Io gli consiglierei di mettersi accanto gente fidata, di richiamare Poli, ma anche me; non voglio propormi, voglio semplicemente dire che io a Reggio Calabria ci tornerei anche a piedi adesso, per qualsiasi ruolo all’interno della società. Io la Reggina la amo. E sono convinto che a Reggio Calabria manchi quel filtro che lo faccia capire ai calciatori.»

Visto l’ultimo campionato?
«Ho seguito qualche partita in televisione, appena ne avevo l’occasione. Vedere il Granillo in quello stato, spalti vuoti, un colpo al cuore. La Reggina non correva, non sembrava all’altezza, non azzannava l’osso. Noi vincemmo perché, non mi stancherò mai di ripetere, non mollavamo nemmeno un centimetro.»

Ti chiamano “il re delle promozioni”, lo diciamo al Presidente che con te non si fallisce mai?
«Solo fortuna (ride, ndr.), ho ottenuto diverse promozioni perché ho avuto l’opportunità di giocare sempre in squadre ben collaudate, come Reggina, Livorno, Castel di Sangro.»

Sì, non ci crediamo al discorso della sola fortuna, quella va anche cercata…
«Vero, c’è da dire che io sono sempre stato un tipo che faceva del lavoro la propria forza. Anche quell’anno a Reggio Calabria, se non remavamo tutti dalla stessa parte non mi andava giù e riprendevo chi non stava dando tutto in campo. La società fa la sua parte, la squadra pure».

Il prossimo anno dove vuoi vedere la Reggina?
«In serie A, Reggio Calabria merita la massima serie, ci deve stare 20 anni di fila perché solo questo può meritare la gente di questa splendida città. Anzi, permette il “meritiamo”, perché anch’io mi sento reggino dentro. E se non si dovesse salire, poco male. L’importante è fare un campionato di vertice, creare entusiasmo, ripopolare gli spalti, tornare a far divertire la gente, a farla innamorare.»

La Reggina fa cento anni…
«Bellissimo, un traguardo storico, felice di averne fatto parte. Il presidente saprà sicuramente festeggiarlo al meglio, magari appunto con ottimi risultati sportivi.»

Con un pizzico di presunzione, cosa gli suggeriresti?
«L’11 gennaio 2014 capita di sabato, organizzare una partita tra le vecchie glorie amaranto. Possanzini, Poli, Martino (ride, ndr.), gli eroi prima di noi, quelli dopo di noi. Lo stadio Granillo, metteteci la mano sul fuoco, avrebbe più di 27.000 posti quella sera.»