REGGINA: NO, NON DEVE ESSERE IL MALATO A PRESCRIVERE LA CURA

13.10.2025 11:00 di  Valerio Romito   vedi letture
REGGINA: NO, NON DEVE ESSERE IL MALATO A PRESCRIVERE LA CURA

Abbiamo sempre cercato, come testata, di mantenere un atteggiamento, nei giudizi, equilibrato e lineare legato esclusivamente al rendimento sul campo, restando scevri da qualsiasi posizione precostituita o condizionamento derivante da interessi, simpatie, convenienze, mode e soprattutto dalla politica, prendendoci per questo una serie infinita di insulti ed insinuazioni, e così continueremo a fare, anche dinanzi ad uno dei punti più bassi della storia calcistica amaranto, dinanzi al quale risulta impossibile chiudere gli occhi ma su cui, come al solito, qualunque critica, per quanto sacrosanta e dura, sarà orientata per cercare soluzioni e non per distruggere.

E ciò che è visibile a tutti, almeno da un punto di vista tecnico, riguarda una squadra ancora incapace di comprendere come affrontare una partita di serie D, che pratica una manovra sterile orientata ad un possesso palla sostanzialmente inutile, che riesce a trovare solo pochi minuti di vera intensità nel contesto di partite compassate ed a tratti irritanti, e soprattutto che non trova mai la porta ed al contempo capitola alla prima occasione subita: il tutto amplificato dalla prestazione di ieri in una gara che non richiedeva ulteriori motivazioni e che non doveva essere fallita.

Il risultato di tutto ciò si manifesta in un deprimente undicesimo posto in classifica con la media di una rete subita a partita e ben tre sconfitte in soli sette turni di torneo, vale a dire il numero di sconfitte totali rimediate nelle trentaquattro partite dello scorso campionato: dati questi che si accompagnano al sospetto, quanto mai fondato, che essi non derivino da questioni esclusivamente tecniche.

La circostanza che la società a fine gara abbia interrotto il lungo silenzio stampa occorso nelle ultime settimane è ovviamente risultata opportuna se non addirittura necessaria; tuttavia l’unico passaggio che abbiamo condiviso in pieno ha riguardato le scuse iniziali rivolte ai tifosi, risultando invece piuttosto discutibili i successivi passaggi relativi all’analisi della situazione, su cui nutriamo più di un dubbio.

Se è risultato oltremodo chiaro che la dirigenza ritiene che le maggiori colpe ricadano sulla squadra, è altrettanto lapalissiano, a nostro giudizio, che da che mondo e mondo chi comanda non può, per consuetudine, sfuggire alle proprie responsabilità, non solo nel calcio ma in qualsiasi ambito professionale, che sono sempre quantomeno pari se non superiori ai propri dipendenti: tenendo fede a questo principio, risultano ancora più irricevibili i successivi passaggi.

Affermare, come udito ieri dalla voce del patron, che si sia chiesto alla squadra, testualmente, di “indicare qual è la strada da percorrere” per uscire dalla crisi, equivale ad un medico che chiede al malato di predisporre un piano terapeutico e prescrivere la cura: la conseguenza sarebbe suscitare il sospetto che lo stesso medico non abbia le risposte per debellare la malattia o, peggio, che non sia in grado di individuare il malanno stesso.

Riteniamo, invero, che attuare una governance orientata alla condivisione delle scelte possa costituire, per certi versi, una scelta illuminata; tuttavia, se la condivisione deborda in una vera e propria delega riguardo compiti che invece spetterebbero quasi unicamente a chi gestisce, ecco che questo rischierebbe seriamente di essere confuso per uno scarico di responsabilità certamente non tollerabile.

A meno che, relativamente a questo ultimo aspetto, ciò non rappresenti un ulteriore sintomo che tale modus operandi costituisca uno standard che abbia riguardato anche altri tipi di scelte, magari legate alla costruzione del progetto sportivo: nel ribadire la bontà, quantomeno nelle intenzioni, di operare di concerto con la componente tecnica, un eventuale abuso di tale strumento avrebbe la conseguenza di far ritenere a chi di dovere che le cause dei problemi siano sempre da ricercare altrove, con la conseguenza di ritardare la perentorietà di quelle decisioni che, allo stato attuale, non possono essere rimandate.

Ovviamente, nessuno più di noi aspetta di essere smentito sulle ricostruzioni di cui sopra, ma tale smentita dovrà materializzarsi attraverso determinazioni ferme e decise senza guardare in faccia nessuno, attraverso le quali la società dovrà dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio, al di là di ogni dichiarazione sentita finora, di avere ancora il controllo della situazione, unico spiraglio possibile per la risoluzione di una situazione che oggi, inevitabilmente e francamente, appare molto compromessa: inutile sottolineare, al riguardo, che il tutto avverrà in un ambiente da qui in poi comprensibilmente ferito e perciò ostile, e non potrebbe essere altrimenti.

Restiamo in attesa di conoscere se, quante e quali saranno le decisioni, anche estreme, che verranno prese, auspicabilmente già in data odierna, e che costituiranno la cartina di tornasole sulla reale volontà di porre rimedi efficaci alla possibilità di rimettere mano ad un torneo che, cercando di mantenere una razionalità che vada al di là dell’emotività scaturita dagli ultimi accadimenti, continua incredibilmente e quasi testardamente ad attendere gli amaranto, e che non fa che acuire la rabbia di ciò che poteva essere ma che ancora lo potrebbe: non approfittare di tale opportunità scegliendo di non agire sarebbe, inevitabilmente, non più perdonabile in modo definitivo.