REGGINA: LA LUNGA ATTESA – GRAVINA E LA SINDROME DELL’ULTIMO GIAPPONESE

Si entra in quella che potrebbe risultare una settimana già decisiva, in termini sia positivi che negativi, per i destini della Reggina in esito alle possibilità di poter disputare la serie C il prossimo anno, in esito alle verifiche della Covisoc sulle 56 domande di iscrizione pervenute entro la mezzanotte di venerdì scorso: ribadiamo che non si vuole illudere nessuno ma anche che fare ipotesi al momento risulta proibitivo in virtù di una prima applicazione dei nuovi criteri selettivi che, come già ricordato nei giorni scorsi, rende impossibile profetizzarne qualsivoglia impatto, salvo navigare a vista.
Tutto ciò continua ad avvenire nell’alveo di una Federcalcio che continua a stupire per inadeguatezza e sfacciataggine, con all’orizzonte una Nazionale che, dopo essere andata incontro ad una delle più epocali brutte figure della propria storia dinanzi ad una Norvegia, che attualmente occupa la 48ma posizione nel ranking FIFA, innalzata “opportunamente” a nuova corazzata del calcio europeo, vede la concreta ed incredibile possibilità di farsi sfuggire il terzo mondiale consecutivo, ma che altrettanto incredibilmente ci presenta un presidente federale che continua ad autoassolversi da ogni responsabilità, oltre ovviamente a riversare tutte le colpe su un commissario tecnico che certamente avrà la sua parte di demeriti, ma che in questo momento incarna il capro espiatorio perfetto per nascondere la polvere sotto il tappeto, con un epilogo surreale che lo vedrà comunque in panchina stasera da esonerato.
Ci si chiede cosa altro possa accadere affinché tutte le componenti del calcio si rendano conto che perseverare su questa linea porterà ad un precipizio irreversibile: basterebbe guardare al passato per capire che si è oltrepassato qualsiasi tipo di limite concepibile, per non dire decenza.
Nel 1958 Ottorino Barassi, primo presidente federale del dopoguerra che si occupò di far ripartire il calcio italiano in un paese dalla reputazione devastata dalle vicende belliche, aggravate dalla terribile tragedia del grande Torino a cui erano ancorate buona parte delle speranze di rinascita, dopo tredici anni di attività più che meritoria non esitò a rassegnare le dimissioni per la mancata qualificazione dell’Italia alla Coppa del mondo del 1958; stessa cosa accadde sessant’anni dopo con Carlo Tavecchio, nonostante qualche flebile resistenza da parte di quest’ultimo immediatamente soffocata dalle istanze generali, a seguito del mancato approdo ai mondiali in Russia.
Ancora più significativi risultano altri esempi, a sottolineare un’etica istituzionale che oggi appare un miraggio: nel 1986 il grande Federico Sordillo, sotto il cui mandato la nazionale di Bearzot trionfò al mondiale di Spagna nonostante un contesto devastato dalla vicenda calcio scommesse di inizio decade, tolse il disturbo “semplicemente” perché quattro anni dopo, da campioni in carica, gli azzurri furono eliminati dalla Francia agli ottavi di finale della competizione messicana; stesso comportamento tenuto dal suo predecessore Artemio Franchi, che scelse di non ricandidarsi in seguito ad un “deludente” quarto posto conseguito ai campionati europei del 1980 disputatisi in casa nostra, e da Giancarlo Abete dopo l’eliminazione al primo turno di Brasile 2014, vale a dire l’ultimo campionato mondiale disputato, ad oggi, dalla nazionale.
Quanto spesso e resistente possa rivelarsi il pelo sullo stomaco di Gabriele Gravina, forte del recente consenso bulgaro che gli ha consentito di restare incollato alla poltrona, non è dato saperlo: impermeabile a qualsiasi critica derivante da dati di fatto schiaccianti e da una popolarità tra gli appassionati giunta ai minimi storici ad un punto mai toccato da qualsiasi suo predecessore, continua a dichiarare che le sue eventuali dimissioni potrebbero cagionare “un ulteriore danno”, senza tuttavia specificare se al calcio italiano o molto più presumibilmente a se stesso.
Il tutto in un contesto che, come sappiamo bene, appare sempre più disastrato e che, salvo un intervento massiccio della Covisoc, presenterà ai nastri di partenza dei prossimi campionati diverse società già gravate di importanti penalizzazioni, a danno di una credibilità del sistema sempre più evanescente: una situazione che riporta alla mente l’episodio riguardante il leggendario Hiroo Onoda, ultimo soldato giapponese arroccato nel suo fortino che fu convinto ad arrendersi solo nel 1974 quando gli spiegarono che la seconda guerra mondiale era finita da quasi trent’anni: almeno lui però aveva l’attenuante delle buona fede.