ESCLUSIVA TUTTOREGGINA/ Nevio Scala: «Reggio nel cuore: peccato non aver fatto un progetto importante»

L'ex tecnico amaranto è malinconico: «Come feci poi a Parma, avremmo anche potuto raggiungere l'Europa».
09.11.2011 21:00 di  Simone Vazzana   vedi letture
ESCLUSIVA TUTTOREGGINA/ Nevio Scala: «Reggio nel cuore: peccato non aver fatto un progetto importante»
© foto di foto goal.com

Carriera da calciatore invidiabile, costruita indossando le maglie più importanti del campionato italiano tra gli anni '60 e gli anni '70, vincendo uno Scudetto, una Coppa delle Coppe e una Coppa dei Campionati con il Milan.

Carriera da allenatore tipica dell'uomo senza tempo, animato dalla passione per il proprio lavoro. Una passione talmente grande da farlo diventare un gitano del calcio. Con sfumature affascinanti, che hanno del pionieristico.

Giovanili del Vicenza, chance nel mondo professionistico sfruttata alla grande con il biennio a Reggio Calabria. Poi la delusione di un mancato progetto, che lo porta a cercarlo a Parma: sette stagioni di successi, i gialloblù arrivano anche in Europa. E vincono. Una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Uefa e una Coppa Uefa. Questo, solo con gli emiliani. Dopo il ciclo parmigiano, l'anno a Perugia, l'ultimo (per ora) in Italia. Si trasferisce in Germania, a Dortmund, e con il Borussia diventa campione del mondo. Poi va in Tuchia, alla guida del Besiktas. Da lì in Ucraina, allo Shakhtar Donetsk (vince un campionato e una coppa nazionale), e poi in Russia, allo Spartak Mosca. Dal 2006, 5 anni di pausa. Adesso, però, Nevio Scala vuole rientrare, sente di poter dare ancora molto al calcio.

TuttoReggina.com, alla vigilia della sfida di domenica tra gli amaranto e la Nocerina, lo ha intervistato in esclusiva, ripercorrendo con lui le due stagioni amaranto, e non solo. Passando per il ricordo di Giovanni Pozza, suo difensore sullo Stretto, scomparso pochi giorni fa per una malattia al fegato. Ma anche per il mancato dialogo con l'allora presidente Benedetto, che non gli ha mai manfiestato la volontà di mettere in piedi un progetto, come poi fatto a Parma. Inevitabili i ricordi delle sfide tra Reggina e Nocerina.

Di seguito, l'intervista completa. Buona lettura.


Vinse 1-0 l'ultimo precedente tra Reggina e Nocerina, l'8 novembre 1987, con gran gol di Tovani, a una manciata di minuti dal termine: eurogol da 30 metri...
«Grande Tovani, un bel terzino che poteva giocare anche centrale.Con la Nocerina erano sempre partite particolari, quasi dei derby, anche se ovviamente le gare più sentite, per noi, erano quelle col Messina. Per la categoria, comunque, Reggio rappresentava la capitale calcistica del Sud: per questo, chi ci incontrava, dava il massimo. Noi affrontavamo le gare con la sicurezza di chi si era allenato bene durante la settimana e scendeva in campo per divertirsi».

Quella fu la sua prima stagione alla Reggina. Aveva sostituito Bigon, che l'anno prima era arrivata 7° in C1, con 36 punti. Che ricordi ha del suo primo anno in riva allo Stretto?
«Il primo anno ero molto timido, anche perché si trattava del mio primo impegno ufficiale a livello professionistico, avevo 40 anni, arrivato dalle giovanili del Vicenza. Ero molto inesperto e mi ricordo di aver detto questa frase nello spogliatoio: "Se voi riuscirete ad accettare i limiti miei e dei vostri compagni, diventeremo una squadra vincente". Arrivammo terzi, vincendo con la Virescit lo spareggio e conquistando in B. Quella frase me la sono portata dietro anche a Parma, Dortmund, Mosca... dappertutto. Per riuscire in qualcosa, è importante fare le cose con serietà. Il nostro obiettivo non era la B, almeno così mi si diceva. L'obiettivo era quello di buttare le basi per arrivarci in Serie B, ma gradualmente. La cavalcata di Perugia ce l’ho nel cuore. Ho foto, articoli di giornale... L'unica cosa che mi sarei aspettato, però, sarebbe stata una conferma della mia attività da parte della società. Però prima della promozione. Mi sono sentito messo in dubbio nonostante avessimo svolto un gran lavoro».

Quindi la società si fece sentire solo dopo la partita con la Virescit?
«C’era Benedetto presidente, c’era anche Foti nell'organigramma. Mi ero talmente affezionato a giocatori e città che ero lì che aspettavo, avevo avuto sirene importanti dal calcio italiano, ma ero legato a Reggio. Mi dicevo, durante la stagione, "Verranno prima o poi a chiedermi e propormi qualcosa". Ed è successo nel momento in cui stavamo festeggiando la promozione, al Limoneto. Il merito è stato dei tifosi della Reggina, che mi hanno coinvolto in un festeggiamento che per me era qualcosa di importante, ma soprattutto vero. Mi sono sentito gratificato, credo sia stata la gente di Reggio a spingere la società a confermarmi. Poi infatti ci siamo messi d’accordo. C’è stato l’aumento d'ingaggio e la possibilità di misurarmi con la B»

Un grande campionato anche quello, con la Serie A sfumata ai rigori nello spareggio, questa volta amaro, con la Cremonese...
«Abbiamo fatto un grandissimo campionato. Ma nuovamente, fino alla fine e me ne dispiaccio, nessuno è mai venuto a dirmi nulla a febbraio o marzo, quando eravamo là, a lottare tra il 1° e 4° posto. Nonostante ovviamente non si fosse pensato a un campionato di vertice. Nessuno si è mai preoccupato di dirmi "Mister vogliamo rinnovare?". Intanto c'erano voci sui giornali che mi volevano su altre panchine, i giornalisti mi chiamavano sempre. Io pensavo solo alla Reggina, ma quando abbiamo perso lo spareggio sono rimasto deluso dalla società, pur rispettandone la decisione. Purtroppo, subito dopo, è successa una cosa spiacevolissima, con i tifosi che hanno non dico dato fuoco, ma "bruciacchiato" l'auto del presidente Benedetto. Questo tipo di violenza è sempre sbagliato»

Maledetti rigori, insomma.
«Era scritto. Sbagliarono Armeninse e Onorato, i miei due rigoristi, che durante il campionato avevano sempre fatto centro»

Ricorda qualche giocatore in particolare, che la impressionò più di altri? Magari Massimo Orlando...
«Non mi piace parlare dei singoli, ognuno ha dato sempre il suo contributo nei limiti delle proprie possibilità. In quei due anni ho avuto gruppi di qualità, fatti però di giocatori molto giovani. Siamo cresciuti insieme».

Dopo la Reggina, la proposta del Parma...
«Sì, penso che la società amaranto si sia morsa le mani a posteriori. Magari, se fossimo andati in A, saremmo potuti anche andare in Europa, come successo proprio con i gialloblù. Mi ritengo comunque fortunato, la proposta fattami dal Parma era seria. Abbiamo parlato molto, mi è stato presentato un bel progetto. Che alla Reggina invece non mi è mai stato proposto»

E questa è un rimprovero ricorrente che la tifoseria fa all'attuale presidente, Pasquale Foti, ormai da diversi anni. Tornando al suo passato, tracci un bilancio della sua esperienza alla Reggina.
«Due anni straordinari, dal punto di vista dei risultati e dal punto di vista personale. Reggio Calabria è meravigliosa, un po’ deturpata dalla mano dell’uomo, però c'è sole, il litorale, le persone sono calorose, ho tanti amici. Pensi che andavo a caccia con la gente. Mi ero inserito bene, così come i miei collaboratori».

Sente ancora Foti?
«Quando ci vediamo ci salutiamo calorosamente, anche se è da un po' che non lo vedo. L'ultima volta un paio di anni fa, mi aveva chiesto delle informazioni e dei consigli. E' una persona che stimo, perché ha mantenuto la Reggina ad alti livelli con sforzi anche economici. Ma soprattutto con la capacità di uno che ha fatto e che sa fare calcio. Con Foti non c'è mai stato un disaccordo, io mi fidavo molto. Poi un uomo di calcio come lui non può negare la qualità del lavoro che è stato fatto nei miei due anni a Reggio, anche per merito suo, sia chiaro. L'unico poblema è stato con il presidente Benedetto. Ma non porto rancore»

Ha seguito la Reggina, quest'anno?
«Purtroppo la B è penalizzata, non ha grande eco mediatica. Oltre ai 30 secondi con i gol, è difficile vederla in tv»

Mi passi la battuta: possiamo dire quindi che lei punta a panchine comunque di un certo livello. Anche perché il curriculum parla chiaro...
«Non sono una persona che dice di no a priori. Ascolto sempre tutti. Lo dice uno che, forse per primo, è andato ad allenare all'estero, soprattutto in terre "ostili" per come le concepiamo noi. Esperienza col Borussia Dortmund a parte, che mi ha reso un uomo molto fortunato visto che siamo diventati campioni del mondo, ho allenato in Ucraina e Russia. Mi davano del pazzo quando mi vedevano partire. Oggi però qualche italiano all'estero lo si trova più facilmente. Curriculum a parte, come detto, non escludo mai nulla a priori, anche perché la mia voglia non è dettata da una necessità economica. Amici e familiari mi dicono "Chi te lo fa fare?": ma il richiamo è forte dopo 5 anni. Se la Reggina, esempio a caso, mi chiamasse e Foti mi dicesse "Nevio, ho bisogno di parlarti", lo ascolterei. Non ho mai detto di no a nessuno senza prima valutare la persona e gli obiettivi. Certo, La voglia è tanta. L'anno scorso stavo per sostituire Ranieri alla Roma: poi, per una serie di cose che non dipesero da me, saltò tutto. Comunque seguo le partite, giro per gli stadi, mi tengo aggiornato: sono stato a Verona, a Parma... Bisogna saper aspettare e scegliere le offerte giuste, senza frenesia. Trovando gente chiara, che produca per quello che ha, e non venditori di fumo».

E ci sono tanti "vecchietti" che proprio non riescono a staccarsi. Ultimo della serie, Gigi Simoni: l'hanno tirato di nuovo dentro...
«Sì, ma come lui c'è Zeman, che sta facendo benissimo a Pescara. Senza dimenticare Trapattoni, Capello, Lippi. Credo che gli allenatori della mia generazione abbiano dato al calcio italiano una grande impronta. Si tratta di una scuola importante, di Allodi e del dopo Allodi, che ha lasciato il segno. C’erano dei valori che portavamo dentro di noi e smistavamo all’interno del campo sportivo. La nostra attività era meno esasperata, la partita non era così caricata. Oggi si richiede un grande impegno mentale: chi non è a posto col cuore, è meglio che stia a casa, le pressioni sono enormi»

Una domanda che le avranno fatto in molti: pensa di "tornare" da allenatore o magari da responsabile dell'area tecnico o in veste di chissà quale altra nuova figura nata negli ultimi tempi?
«A dire la verità, è la prima volta che mi viene fatta questa domanda. Io, oltre a quello di allenatore, ho fatto il corso di direttore sportivo, quindi ho la licenza. Io però mi sento un tecnico. Anche se, come detto, lascio aperto a ogni possibilità. E' vero che si debba dare spazio ai giovani, io fra qualche giorno (22 novembre, ndr) compirò 64 anni, non sono più giovanissimo. Ma oggi i 64 anni sono come i 50 di qualche anno fa. L’età pensionabile si allontana: Trapattoni sta facendo benissimo con la sua Nazionale e viaggia per i 73 anni».

Sappia comunque che a Reggio ancora si ricordano di lei, annoverandola tra i migliori allenatori insieme a Maestrelli, i tifosi più vecchi, e Mazzarri, quelli più giovani.
«Mi fa piacere, vuol dire che qualcosa abbiamo seminato».

Un'ultima domanda riguarda invece un suo giocatore avuto da lei qui a Reggio, Pozza, scomparso a soli 50 anni qualche giorno fa, per una malattia al fegato. Che persona era?
«Apprendo ora la notizia, essendo rientrato dalla Germania solo due giorni fa. Provo un profondo dispiacere. Era un ragazzo straordinario, veramente di qualità. Anche come giocatore ci ha dato un grandissimo contributo. Mi dispiace tantissimo. Persona solare, simpatica. Dava il massimo sempre, per me è stato un esempio. Lo ricordo con grande affetto perché era un persona squisita. Se posso, vorrei approfittare di voi di TuttoReggina.com per fare le condoglianze agli amici e ai familiari, a nome di tutta quella che fu la sua squadra. Partecipo al loro dolore».

 

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